12-02-21 

 

ANATOMIA DI UN CUORE SELVAGGIO, di Asia Argento

 

 

 

 

NOTA DE LEITURA

Tenho de confessar que nunca tinha lido um livro assim. A autora diz-se pronta a abrir as pernas sempre que estava sozinha com um macho. Esta solicitude começou aos 14 anos e durou pelo menos até aos 45 que ela tem hoje.

Já a sua família era algo estranha. Quando nasceu, vivia com o pai e a mãe e mais duas meias-irmãs, uma filha do pai, outra filha da mãe. Uma destas, faleceu num acidente de motorizada.

Omite, porém, um caso em que foi acusada de seduzir um menor, chamado Jimmy Bennett, tendo sido condenada a pagar-lhe uma indemnização que não satisfez até ao fim.

Tem uma filha e um filho, Ana Lou, nascida em 2001 e Nicola Giovanni, nascido em 2008, de pais diferentes, cujos casamentos não vingaram.

 
   
   
   
   

   

marie claire

 

Anatomia di un cuore selvaggio, capitoli molto intimi dall'autobiografia di Asia Argento

 

“Essere una donna come me non è stato mai comodo, ma è stata quasi sempre una scelta”.

 

Di Giuseppe Fantasia

26/01/2021

 

Difficile essere Asia Argento – che in realtà si chiama Aria, anche se nessuno l’ha mai chiamata così – più semplice sarà, invece, comprenderla leggendo la sua autobiografia, Anatomia di un cuore selvaggio, in uscita il 26 gennaio per Piemme.

Ciò non vorrà dire assecondarla, né tantomeno giustificarla - anche perché lei non gradirebbe – ma cercare di guardarla con occhi diversi, per come è veramente, “una persona - parole sue - azzoppata dall’eccessiva timidezza, incapace di stare al mondo e di sopravvivere tra i viventi”, ma che, a ben vedere, ha dimostrato - e dimostra ancora oggi - di essere l’esatto contrario. In tutti questi anni, è come se avesse voluto creare una corazza attorno a sé, necessaria per sopravvivere, che ricorda un po’ quella del serpente immaginario a cui cercava di assomigliare ogni volta che sua madre, Daria Nicolodi, la picchiava o comunque scatenava ogni tipo di violenza fisica e verbale (“una violenza efferata”, scrive nel libro) su di lei che in quei casi “simulava la morte per non morire sul serio”. Il padre, il maestro dell’horror italiano Dario Argento, non c’era quasi mai e non la considerava come invece avrebbe voluto. Conviveva (prima con entrambi, poi, dopo la separazione, divisa e sballottata da una casa all’altra come un pacco postale) con due artisti che facevano quel che gli pareva “senza rinunciare a nessuna delle loro follie”. “A loro modo – ricorda - hanno fatto il massimo, soprattutto per essere stati due persone così eccezionali e per questo anche due egoisti totali”.

Provateci voi a nascere in quella famiglia e a vivere un’infanzia come la sua, privilegiata - non vi è alcun dubbio - ma con un rovescio che pesava dieci o forse mille volte di più di quella medaglia assegnatale e non meritata (i meriti li ha avuti in seguito), fatta di genitori assenti anche quando erano presenti; di incomprensioni, di liti furibonde e di gelosie – con loro e con le sue due “sorellastre”, Fiore (già figlia di suo padre) e Anna (figlia di sua madre) - senza mai essere la preferita di nessuno, sempre al centro di inimicizie e di parole non dette tra insopportabili silenzi. Provateci voi ad avere una carriera nel cinema iniziata dalla porta principale, da “figlia di”, anche questo è vero, ma portarvi poi dietro, per anni e anni, questo fardello anch’esso pesante. Provateci un po’ voi a dimostrare di valere nonostante siano in pochi a credere nei vostri talenti e a vivere un quotidiano in cui qualsiasi scelta si faccia - giusta o sbagliata che sia – non viene giudicata, perché neanche notata oppure, perché – più tardi, con il successo - è finita quasi sempre sotto riflettori volti a scatenare solo giudizi e pregiudizi, altre invidie e incomprensioni senza ascoltare mai la verità e senza notare la cosa più importante: il coraggio che si ha a essere se stessi.

“Volevo scrivere un libro che parlasse di trasformazione, un libro che, seguendo il filo ingarbugliato della mia vita interiore, scandisse le mille metamorfosi che mi hanno resa chi sono oggi”, precisa Asia. È difficile da definire, per molti forse anche da capire - lei questo se lo aspetta ben sapendo che ci sarà chi avrà da ridire. “Non mi sono mai conformata, non ho mai accontentato nessuno, anche quando sarebbe stato comodo farlo”.

Tra alte e basse maree emozionali, tra droghe e altri stordimenti, tra un sesso scoperto per caso, divenuto poi sfrenato, continuamente cercato, voluto o subìto con uomini e con donne (“mi definisco bisessuale - scrive - se proprio dobbiamo dare a tutto una definizione”), tra tanta musica techno e letture bulimiche (un piacere che condivideva con sua madre che prima di morire le regalò La sgualdrina timorosa di Sartre), un lavoro frenetico – iniziato prestissimo, da attrice, poi interrotto e poi ricominciato e abbandonato tra tanti premi e riconoscimenti (“il David di Donatello vinto con Perdiamoci di vista di Carlo Verdone l’ho usato come fermaporte della camera da letto”) – diversi compagni e due figli (Anna Lou e Nicola) la cui nascita “è stata una benedizione”- c’è sempre stata lei. C’è sempre stata Asia, con tutta se stessa anche quando i fatti potrebbero far pensare diversamente.

In queste pagine scritte anche di notte (“soffro di insonnia e di depressione da quando sono piccola e ogni sera prendo quattro pillole prima di andare a dormire”) c’è questa ex ragazzina ribelle “e un po’ maschiaccio” - il terrore, negli anni Ottanta, del quartiere Prati e di Villa Balestra, ai Parioli, da cui poi fu cacciata perché andò a letto con il fidanzato di una sua compagna di giochi - che al confronto, Gian Burrasca e Pippi Calzelunghe erano dei santi, ma se uno le dice questo rischia di ricevere un sonoro “sticazzi”, “una formula meravigliosa che mi ha salvato la vita mille volte e ancora mi aiuta”, come la definisce nel libro, un’esclamazione che compare subito dopo un “haply” contenuto nell’esergo di Christina Rossetti e la parola “life” - alla fine - contenuta nella citazione di James Joyce. Una sorta di rafforzativo, il suo, voluto per quel condizionale speciale e unico che è la vita, anche quella di Asia, quella che ha deciso di raccontare rompendo definitivamente quella corazza per far emergere e vincere il bene - o quantomeno una parte di esso – e creare così “una auto-autopsia completa”, “un’analisi spietata di se stessi”.

Asia Argento è stata (ed è) sempre libera, abbagliante per gli altri e talvolta dolorosa per sé tanto che il dolore, sin troppe volte protagonista della sua esistenza, ha fatto e continua a far parte di lei, “è un ospite scomodo che dimora in me e non posso sfrattare”. In queste pagine non risparmia se stessa, figuriamoci gli altri. Avete tra le mani il suo carnage, trattatelo bene, o quanto meno, con rispetto. Leggerlo è come assistere a una lunga e faticosa seduta psicoanalitica che si inizia senza sapere mai quando e come finirà, una seduta in cui si scava fino in fondo per recuperare il recuperabile, per ca(r)pirlo, detestarlo e a volte persino distruggerlo per annientare e annientarsi, ma solo per ritrovarsi, perché una metamorfosi è sempre possibile. Asia che spara a zero su un suo vecchio amore come Sergio Rubini - “magrolino, nasuto e superdotato”, all’epoca sposato con “un’attrice genere isterico-biondastro borghesuccia molto rispettata in Italia proprio per la sua immagine (vera) di una donna nevrotica” (impossibile non capire chi è ndr) – su Nanni Moretti (lavorare con lui a Palombella Rossa “è stata un’esperienza tremenda”) con cui poi si scusa – sull’ex Leos Carax o su Paolo Villaggio che frequentava sua madre, fa parte della “terapia”, fa parte di questa sorta di gioco al massacro iniziato e continuato cercando di combattere i suoi demoni.

Proviamo più di un brivido quando ricorda in maniera dettagliata gli incontri con Micheal Radford o quando ci fa entrare assieme a lei nella stanza d’hotel con Harvey Weinstein (“primo stupro subito) - che chiama “orco” – o in quella con Rob Cohen (“secondo stupro”). “A ogni accenno di violenza, invece di gridare e scappare, ho sempre reagito con questa immobilità, cedendo all’abuso, pregando solo che finisse”. “La prima sensazione che provai quando rientrai nel mio corpo fu colpevolezza. L’unica risposta che riuscivo a darmi (riferita a Weinstein, ndr) era che l’avevo fatto per paura di lui fisicamente e del suo potere”. Si soffre insieme a lei quando ricorda la morte di sua sorella Anna e quella di sua madre, con cui aveva restaurato un ottimo rapporto dopo la nascita di Anna Lou, o quella del suo primo amore, Federico (“con lui è morta la mia adolescenza”) e di Anthony Bourdain, suicidatosi in una camera d’albergo. A sentirla raccontare tutti questi episodi poco piacevoli della sua infanzia, della sua giovinezza o dell’età adulta (a cui corrispondono altrettanti e omonimi capitoli del libro), si ha voglia di prendere per mano la piccola, la giovane e l’adulta Asia e di stringerla forte – cose oggi vietate per colpa del Covid - facendole capire che ci siamo anche quando lei vorrebbe che non fosse nessuno. Pagine di dolore, le sue, leggendo le quali ci chiediamo come mai quelle persone che avrebbero dovuto esserle vicine in quei momenti non l’abbiano aiutata, consigliata, sostenuta, o semplicemente considerata. Che è poi la cosa che avrebbe voluto più di tutte. L’unica che c’è sempre stata è la sua migliore amica Angelica detta “Ist”, “importante come il video registratore Betamax”, che il padre poi però le tolse senza un motivo.

E a proposito di Dario Argento, Asia ricorda che entrambi hanno sempre usato il cinema “come un’esplorazione della nostra stessa psiche”, cercando di affrontare l’indicibile con l’arte, “ma non sono certa che questo metodo sia raccomandabile, perché l’arte raramente fornisce soluzioni, più spesso aiuta solo a dare un volto ai propri demoni, ma non a sconfiggerli”. Un rapporto, il loro, fatto di alti e bassi e di tante incomprensioni, ma oggi hanno entrambi imparato ad amarsi e ad accettare le loro diversità. “Da un lato sono certa di quello che ho provato - scrive Asia - dall’altro percepisco una profonda tenerezza e gratitudine per la mia famiglia sgangherata, per i miei genitori e per mia sorella Fiore, le uniche persone, oltre ai miei figli, che amo incondizionatamente”. “Proprio ora realizzo che senza di loro il mondo mi farebbe più paura. I rapporti, durante tutti questi anni, sono cambiati, evoluti, trasformati. Anna e Fiore erano dei misteri per me da bambina, ma poi con Anna costruii una forte sorellanza e anche con Fiore riuscimmo a trovare un nostro unico e prezioso equilibrio”.

In questa vera e propria Anatomia di un cuore selvaggio c’è l’Italia e c’è Roma (“nel ’93 Campo de’ Fiori era già diventata una cloaca, era già la arsa di se stessa”), ci sono gli Stati Uniti, tante città e Paesi, ci sono la sua isola segreta, la Toscana e Cannes - il posto del primo stupro e quello dove è tornata nel 2018 per fare il suo “discorso kamikaze” contro Weinstein e i violenti come lui – ci sono attori e attrici famosi, c’è Morgan (“penso al batticuore che ancora oggi fa rima con amore”), la nonna Fulvia e l’amato zio, c’è il gatto DAC (acronimo di Dario Argento’s Company) e il chihuaua Dziga (come il regista russo Dziga Vertov), ci sono superalcolci, droghe pesanti e leggere, coca cola light e champagne a fumi, bettole ed hotel di lusso, infiniti tatuaggi (una cosa che la accomuna a Daniel Day Lewis), imbrogli tristi (quello di J.T.Leroy, autore di Ingannevole è il cuore più di ogni cosa, da cui poi la Argento realizzò l’omonimo film) e condivisioni di momenti indimenticabili, ad esempio quello con Barbara Alberti (“hai fatto a me quello che la primavera fa ai ciliegi”) e altri meno (la festa a casa di Lanny Kravitz a Parigi con una moquette con pelo bianco “forse di Alpaca”) oltre a verità pesanti venute fuori con il #metoo, l’accusa di molestie verso un allora minorenne, l’addio da giudice di X-Factor e la sua vittoria più grande – seconda solo a quella di essere diventata due volte madre: la condanna “dell’orco” a 23 anni di carcere.

Nonostante tutto questo, Asia Argento è oggi una cittadina del mondo “quasi del tutto funzionante”, come si definisce lei, “se non fosse per quel malessere che spesso mi coglie, lasciandomi interdetta, buttandomi nello sconforto, piangendo sul letto per giorni interi, senza riuscire ad alzarmi. Si alzerà, l’ha già fatto. “Ho sempre fluttuato tra quel piedistallo e la polvere senza mai riuscire a trovare una confortante uguaglianza con gli altri. Nemmeno in amore, anzi, il confronto con gli uomini che ho amato non ha fatto che acuire questa sensazione. O ero troppo o troppo poco, è il grande cruccio della mia vita, il risultato dell’enorme disequilibrio che ho dentro di me. Per anni mi hanno fatto credere di essere nulla, zero, di non valere niente”. Adesso basta: Asia oggi se va in giro senza pelle, con i nervi, i muscoli e i tendini scoperti, preda delle intemperie, preda di tutto, prima di tutto di se stessa, ferita e sanguinante, ma la sua forza sarà quella di continuare a cercare la sua essenza oltre il miraggio, lì dove la vita si fa più vera. Per quelle persone come lei è sempre il momento di sguainare la spada. “Siamo rose del deserto, incapaci di adeguarci a un mondo che ci vorrebbe sempre diversi, ma da qualche parte siamo sbocciati, arrampicandoci a modo nostro sulle pareti rocciose della vita”.

 

“Cerco di non vedermi” Asia Argento

Intervista esclusiva con l’attrice e regista per un progetto madre-figlia che la racconta come mai prima.

Di Giuseppe Fantasia

30/07/2020

Probabilmente, se una come Asia Argento fosse vissuta al tempo di Euripide, sarebbe stata scelta dal poeta e drammaturgo greco per le sue storie che criticavano il compendio dell’etica tradizionale. Oggi, l’attrice e regista romana, è come se avesse fatto tesoro di quell’antico narrare e, nonostante il successo, non si è mai trasformata in un’eroina o in una marionetta nelle mani di una divinità chiamata “potere” ma ha preferito essere ed affermarsi come essere umano animata da passioni e ed emozioni, razionali e irrazionali, schiette e dirette.

Asia Argento è fedele a se stessa, punto. Ed è per questo che può piacere o meno. “Cerco di non vedermi”, ci dice a telefono con il suo inconfondibile tono di voce. “Cerco di guardare di più il prossimo: ciò che riflette è ovviamente sempre una visione di me, proprio come accade nei sogni che rivelano una parte di ognuno di noi. Guardare gli altri mi aiuta a capire meglio me stessa”. “Oggi sto bene: ho fatto pace con tutto quello che era il passato e non ci penso neanche più. Non ho risentimenti o rancori, non ho nostalgia, sono in pace: quello che è successo mi ha portato qua”. L’analisi è stata la soluzione, ma trovare “la persona giusta”, quella con cui confidarsi ed aprirsi per cambiarsi e migliorarsi, “non è stato semplice”. “Alla fine – aggiunge – ho fatto molte cose che mi hanno portato alla cura dell’anima”. Proprio come Euripide, non ha molta fiducia nel presente storico. “Basta guardare quello che succede attorno a noi”, ci dice. “Durante il lockdown c’è stato un barlume di speranza che la pandemia ci avesse uniti facendoci riflettere sull’importanza del prossimo, sul collaborare e su altre cose che fanno crescere l’essere umano. Si pensava che potessimo realizzare tutti insieme un’uscita dall’individualismo offrendo più amore per gli altri, ma mi illudevo. La violenza nelle famiglie, in particolare sulle donne, è cresciuta molto, per non parlare dei casi di giovani che si ammazzano di botte tra loro. C’è stata un’eruzione di violenza, ma il mio Paese lo vedo comunque meglio degli Stati Uniti”.

Due anni fa curò una sezione del Torino Film Festival che decise di chiamare proprio “Amerikana”, un insieme di film vero e proprio viaggio negli Stati Uniti tra le sue infinite contraddizioni fatte di aperture, bigottismi, arretratezza economica, tecnologia esasperata, violenza, mentalità rurale e ultracattolica. “Volevo raccontare un po’ quest’America mostruosa che è venuta fuori ancora di più con Trump”, ci dice. “L’America Oggi – citando il titolo del film di Altman - fa davvero paura e vediamo cosa ha portato ad avere un presidente del genere a cui interessa solo il suo potere personale, un uomo che fa le cose senza umanità ed empatia”. “L’America – continua - è un Paese fondato sulla violenza e con la violenza. Si pensi ai colonialisti che con la violenza delle armi hanno conquistato un Paese e hanno fatto il genocidio più grande della Storia dei nativi americani fino ad arrivare agli schiavi. Quella violenza è insita nell’americano bianco e questa sopraffazione la mette in molte delle cose che fa: si pensi a come si sta comportando la polizia con i cittadini di colore e non solo. Adesso, lì, c’è una specie di guerra civile dovuta anche al Covid-19 e a come l’hanno affrontato. È impensabile che accada una cosa del genere in un Paese che dice di essere così evoluto e che ha sempre sostenuto e sostiene la sua superiorità. Anche noi in Italia lo abbiamo affrontato pensando che fosse una banale influenza – sono stati in molti a sostenerlo – ma poi, quando si è visto cosa stava succedendo davvero, abbiamo iniziato a rispettare le norme che ci venivano imposte. In America no: hanno reagito con la solita sufficienza di chi pensa di essere sempre migliore e superiore agli altri e adesso si ritrovano con una situazione che è un disastro”. “Siamo soggiogati - aggiunge - siamo colonizzati nell’inconscio anche da un certo tipo di estetica americana che è l’estetica del consumismo, come se fosse tutto bello e perfetto solo quello che fanno e ci propongono loro, ma a ben vedere, non è così. È l’estetica della proprietà, dell’essere omologati. A me non piace e quindi mi ribello a quel modello estetico, politico e di pensiero, non mi ci riconosco”. “Gli stessi film americani - tiene a precisare - raccontano da sempre il nemico che arriva da fuori e che vuole distruggerli – siano essi alieni, terroristi o calamità – quando invece non hanno mai capito che la distruzione potrebbe arrivare da loro stessi. Il vero nemico degli americani sono gli americani ed è questo che si sta rivelando ora. È un Paese fondato sulla violenza, ma è difficile estirpare questa violenza quando si ha nel DNA”.

La violenza c’è anche in Elettra, la tragedia di Euripide. Rileggendola, assieme a quella di Sofocle e di Eugene O’Neel, Asia ha realizzato il cortometraggio “Aelektra” per lo stilista Antonio Grimaldi che è stato poi presentato sulla piattaforma parigina della Fédération de la Haute Couture et de la Mode. In quegli otto minuti, la regista di film come Scarlet Diva, Ingannevole è il cuore sopra ogni cosa e Incompresa e di cortometraggi (ricordiamo con un certo piacere Abel loves Asia La tua lingua sul mio cuore), ha diretto attrici e abiti da lei indossati e interpretati con la figlia Anna Lou Castoldi (che vedremo in autunno nella nuova stagione della serie Netflix Baby), rappresentando il rapporto conflittuale madre-figlia in riferimento al noto mito greco. “È un corto nato alla fine della pandemia”, ci spiega Asia. “Una delle prime uscite post lockdown è stata una cena da Antonio Grimaldi che mi ha proposto di fare un film per la sua collezione. Insieme, siamo partiti da un’idea sul ritorno alla gloria con vari riferimenti. Ha subito accettato che ci fosse anche mia figlia, perché con lei - che stava preparando la maturità durante il lockdown ho avuto modo anche di rileggere e riscoprire testi di filosofia e dell’antichità greca”. Da lì, l’idea. “Era la prima volta che ci incontravamo con altre persone, sul set c’era un piccolo cast, abbiamo girato in due giorni. Ho detto a Anna Lou che saremmo andate ad esplorare quel rapporto tra mamma e figlia, e lei mi ha seguito”. Il risultato è il racconto di una storia, ma soprattutto il racconto di abiti che in tal modo sono esaltati, perché – spiega – “è un film che sostituisce le sfilate quindi gli abiti scultorei di Antonio andavano fatti vedere”. Ed eccoli, quindi, gli abiti in primo piano con tessuti dai tagli insoliti arricchiti da colletti e piume che vanno ad arricchirne il valore. C’è il bianco della figlia che ne esaltano la purezza inquieta e c’è il nero della madre, impreziositi qua e là da svariate sfumature di rosa, un colore che caratterizza anche il coro della storia. Girato a Roma con una parte ambientata al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, stessa location del Premio Strega, il corto ci ricorda ciò che siamo e che possiamo essere, poco importa se compresi o meno, e i legami non sempre semplici – ma assolutamente necessari – con la famiglia e con chi abbiamo vicino. Elettra non ha nulla di compassionevole: donna oscura e lucidissima, era una figlia devota al padre. Asia no. “Con papà (il regista Dario Argento, ndr) – dice - non sono stata devota come figlia: lo stimo tantissimo, ma siamo due compagni di lavoro da quando avevo 16 anni e quando ci vediamo parliamo spesso. Con mia madre (Daria Nicolodi, ndr) abbiamo un rapporto che è basato di più sull’intimo. La vera devozione ce l’ho per i miei figli e per il cinema”. “Sono sempre stata fiera delle mie origini, ma poi uno vuole affermarsi. Ho dovuto lottare per arrivare dove sono oggi. Spesso sono stata incompresa, ma volevo fare solo del bene. C’è questo insensato bisogno che bisogna per forza essere accettata da tutti, ma non è il mio caso. Sono troppo sincera e se c’è qualcosa o qualcuno che non mi piace, lo dico”.

Si è mai pentita di qualcosa? – le chiediamo prima di salutarci. E lei: “Assolutamente no. Tutti i miei errori, tutti gli orrori e i dolori che ho vissuto mi hanno portata sin qui. Si vede che erano necessari”.

 

      ELLE

 

   Tutti i dolori di Asia Argento nel suo ultimo libro Anatomia di un cuore selvaggio

 

"Mia madre mi rispediva da mio padre e viceversa. In quel clima brutale, per non morire simulavo la morte", scrive Asia

 

10/02/2021

Con Asia Argento la vita non è stata generosa, diciamolo subito. Non solo per gli abusi subiti, e per la successiva lapidazione mediatica seguita alle denunce del #metoo. La sorte ha cominciato ad esserle avversa molto prima, perché nascere figlia di un regista e di una attrice come Daria Nicolodi non ha significato solo vivere nell’agiatezza, anzi. Per lei ha voluto dire crescere invisibile dentro una spirale di violenza. “Per anni mi hanno fatto credere di essere nulla, zero, di non valere niente”, scrive nell’autobiografia Anatomia di un cuore selvaggio (Piemme, pag. 248, euro 18,90) dove toglie la maschera del personaggio e la corazza per raccontarci la vera Asia con coraggio. E il fatto che si chiami Aria, anche se tutti la conoscono come Asia (quando è nata non si poteva dare il nome di un luogo), non fa che sottolineare la triste storia di un’eterna bambina alla quale è stata negato di volare con leggerezza, come dovrebbe accadere a tutti nell’infanzia, da una famiglia “sgangherata”, che lei oggi però ringrazia. Perché a loro modo quei due genitori hanno fatto il massimo: due persone eccezionali le definisce, e per questo anche due egoisti totali.

A cinque anni Asia parla già come un’adulta e scrive poesie, a nove inizia a lavorare nel cinema e a soffrire di insonnia, nell’indifferenza. È spaventata, timida, depressa, e con la sua valigia e un gatto nero viene continuamente cacciata di casa. Fa la spola tra le abitazioni romane dei genitori separati, vittime di un rapporto distruttivo (Daria spaccò una costola al marito con il tacco). “La violenza di mia madre era efferata e sistematica... Simulavo la morte per non morire sul serio”. Il suo modo di reagire divenne uno solo: aspettare che finisse, sperando che passasse in fretta. Alla brutalità si alternava l’abbandono. “I miei genitori non hanno mai espresso interesse per i miei successi”. Nemmeno quando, a 12 anni, vinse il Globo d’oro come miglior attrice per il film Zoo. Mamma e papà non andarono alla premiazione. Da quel vuoto scaturì anche un senso di libertà incontrollabile, e un’incredibile voglia di evadere dalla realtà.

Iniziano i rave party con la musica tecno e le droghe, le canne prima, tutto il resto a seguire, nel corso della vita in continua guerra contro le dipendenze, non ultimo, l’alcolismo. Le feste coincidono con le prime esperienze libertarie e bisessuali. La perdita della verginità, a quattordici anni, è una scelta ragionata, per niente memorabile: “Mi ero tolta il peso”. L’amore però è un’altra cosa e Asia, sempre in cerca di punti fermi, ne è ben consapevole. Il vero batticuore arriva con Federico, un batterista, a sedici anni. Si giurarono amore eterno e lui, scomparso tempo dopo di overdose, è ancora lì a tenerle compagnia in una foto sul comodino. Tra i grandi legami, quello con Morgan, padre di Anna Lou (19 anni), con il regista Michele Civetta, papà di Nicola (12), e con lo chef francese Anthony Bourdain, morto suicida nel 2018, l’amore maturo, “rigenerante”. Tra gli inifiniti amanti che lei definisce maschi che si è illusa di amare, il regista Sergio Rubini quando aveva 17 anni circa, ma anche il giovane fidanzato di sua madre, e Pietro, il pescatore dell’isola segreta dove Asia ha trascorso le estati da bambina, e dove è tornata a scrivere parte del libro: “Lui è una poesia troppo lirica per essere recitata”.

Del capitolo Harvey Weinstein molto è stato scritto. Il primo abuso da parte del produttore di Miramax fu nel 1997. Lei, intimorita, ha denunciato solo nel 2017, dopo aver esorcizzato la violenza raccontandola nel film Scarlet diva. Nel libro spiega perché ci sia voluto molto tempo per capire la gravità di quanto le fosse accaduto. E ciò che emerge con lucidità sorprendente nel racconto è il diabolico meccanismo messo in atto dall’orco per crearsi gli alibi e dire che le vittime erano consenzienti. Quel “ventre purulento di Hollywood”, così lo definisce, Asia lo racconta con crudezza. Un secondo stupro, pure peggiore, l’attrice lo denuncia per la prima volta nel libro: il regista Rob Cohen, nel 2002, le diede la droga dello stupro spacciandola per tranquillante. Lui oggi nega. Anche Asia, nel 2018, fu accusata di molestie dal diciassettenne Jimmy Bennett, dopo alcuni selfie a letto, ma qui racconta che fu lui a incendiarsi.

A quel bagaglio di dolore, si è aggiunto il lutto per la morte della madre, il 26 novembre 2020. Il loro rapporto era migliorato con la nascita di Anna Lou. “Le ho perdonato tutto”, scrive. Anche con il padre Dario Argento si sentono tutte le sere. La maternità è stata come una metamorfosi: “È quello che di migliore mi abbia mai offerto il mondo. L’amore per i miei figli lo proteggo in una parte di me inaccessibile a chiunque”.

Scrivere un’autobiografia è come fare una seduta di autoanalisi: bisogna fare i conti con ciò che abbiamo dentro, tirare fuori dal cuore tanto dolore. Asia Argento si è finalmente alleggerita. Così, dietro all’attrice che ha fatto 50 film e già a 18 anni aveva vinto tutti i premi italiani, riaffiora la ragazza fragile che prende cinque pillole ogni sera per dormire, ma coerente con l’idea di libertà che non ha mai voluto abbandonare. A noi, insegna a non giudicare.

Testo di Gaetano Zoccali

  

         VANITY FAIR

  

   Anatomia di un cuore selvaggio» (Piemme), l'attrice rivela violenze e droghe. E intanto si riavvicina a Fabrizio Corona

Poche ore dopo aver condiviso sui social le foto che segnano un suo riavvicinamento con Fabrizio Corona, Asia Argento decide di aprire il cassetto dei ricordi e di raccontare al Corriere della sera alcune cose che leggeremo in Anatomia di un cuore selvaggio, il suo primo libro pubblicato da Piemme e in uscita il 26 gennaio, un memoir nel quale Asia ripercorre la sua vita e svela dettagli che nessuno poteva mai immaginare, come le violenze subite da sua madre quando era una ragazzina. «Ero andata via di casa il giorno dopo il mio 14° compleanno, non aveva comprato nemmeno una torta e avevo capito che non gliene importava nulla di me.

Raccontai a mio padre le violenze che subivo in casa e con lui ci inventammo lo stratagemma che stavo da mia nonna, anche se in realtà vivevo a casa sua da sola, perché era impegnato sul set e Fiore studiava negli Stati Uniti. Così un giorno mia madre mi fece chiamare dal Tribunale, mi ci accompagnò la segretaria di mio padre, e rinunciò alla patria potestà. La riprese quando sono rimasta incinta di Anna Lou».

Asia Argento fa anche il nome del regista Rob Cohen: «È la prima volta che parlo di Cohen. Successe nel 2002 mentre giravamo xXx. Abusò di me facendomi bere il Ghb, ne aveva una bottiglia. Ai tempi sinceramente non sapevo cosa fosse. Mi sono svegliata la mattina nuda nel suo letto». «La cosa più pura di questo MeToo è che una donna si riconosce nell’altra. Se uno tiene una bottiglia di Ghb sicuramente l’avrà dato anche ad altre» riprende poco dopo tornando ancora una volta su Weinstein: «Avevo rimosso lo stupro. Quando tornò e mi chiese scusa dicendo che era mio amico, offrendosi di aiutarmi a trovare una tata per Anna Lou in America, nel 2002, non avevo ancora iniziato il percorso di analisi per capire cosa mi avesse fatto per due volte. Non avevo nessuno negli Stati Uniti, ero sola. Mi sentivo forte del fatto che avevo già girato Scarlet Diva in cui lui doveva essersi riconosciuto. Non sapevo che aveva fatto lo stesso a tante altre».

«A lui non hanno tolto la casa “per me”. A me non è venuta una lira, hanno solo rimborsato l’avvocato con cinquemila euro. La casa gliel’hanno tolta perché non pagava le tasse, aveva debiti e i soldi sono andati a queste persone. Mi è dispiaciuto per lui». Anthony Boudain, Asia lo definisce, invece, «l’amore della maturità». «Era entrato nella mia vita in punta di piedi, aveva subito fatto amicizia con i miei figli. Trascorrevamo tanto tempo tutti insieme. Preparava per noi delle cose incredibili, quando c’era lui venivano a casa anche mia madre e mio padre, mia sorella e Angelica. Lo amavano tutti, nella mia famiglia. Era un uomo generosissimo». Con lui rimane in piedi una connessione particolare ancora oggi che non c’è più:  «Gli parlo sempre. Per un periodo lo facevo con rammarico: “Sono così sola ora, ma perché te ne sei dovuto andare?”. Ultimamente sto cucinando tantissimo con mio figlio e ad Anthony racconto le cose belle. Il lutto è una cosa che non sai mai quanto dura o che forma prende, tutto sta nell’arrivare all’accettazione». Ammettendo di soffrire di ansia, depressione e insonnia, l’ultimo pensiero di Asia va ai figli, in modo particolare ad Anna Lou che ha iniziato la sua carriera di attrice comparendo nell’ultima stagione di Baby: «Vuole studiare, è sempre stata molto brava. Fa Belle arti».