10-5-2017

 

Più forte del destino. Tra camici e paillette. La mia lotta alla sclerosi multipla, de Antonella Ferrari

 

 

   

NOTA DE LEITURA

 

 

Mais um livro autobiográfico de uma star italiana, que aos 40 anos tinha já muito que contar da sua dramática vida.

Antonella Ferrari nasceu em 2 de Setembro de 1970 e o seu sonho de criança e de adolescente foi o de ser bailarina clássica. Lutou por isso, mas a natureza barrou-lhe o caminho por volta dos 23 ou 24 anos. Uma doença ainda mal conhecida na altura atrofiou-lhe o corpo. Teve de lutar para que a medicina a ajudasse quando a incompreensão a acusava de ser ela a provocar a sua doença. Quando finalmente foi diagnosticada com esclerose múltipla, passou a lutar para viver com a doença. As canadianas foram o seu meio de locomoção, passando para a cadeira de rodas na altura de crises mais agudas.

Abandonada a dança, pouco a pouco iniciou uma carreira de actriz de sucesso no palco e na televisão. Ao mesmo tempo, começou a cooperar com a AISM – Associação Italiana da Esclerose Múltipla e a responder em jornais a leitores que perguntavam sobre a doença.

Antonella Ferrari é religiosa, católica praticante.

Aos 39 anos casou com Roberto d’Agosta, e lamentou não poder ter filhos nem poder adoptá-los por a lei italiana vetar a adopção aos deficientes físicos.

Tudo isto ela conta numa prosa muito escorreita e muito atraente. Dedica o livro ao pai, já falecido,  com quem tinha uma ligação muito afectuosa e que a chamava ciccia. Corresponde ao português chicha mas em italiano tem um significado carinhoso, como também ciccina ou pejorativo como cicciona.

O livro lê-se com muito agrado em menos de três horas.

 

 

 

Da Editora - Mondadori

Il libro

Essere una donna disabile in un mondo in cui l’immagine femminile appare sempre patinata e perfetta non è facile, ma Antonella Ferrari, attrice e ballerina con la sclerosi multipla, non si e mai arresa: “Sono, fondamentalmente, testarda e polemica. Per questo non credo nell’insormontabilità degli ostacoli e vorrei che non ci credessero coloro che hanno difficoltà simili alle mie. Ed è proprio questa sua determinazione che ha reso Antonella un punto di riferimento, una fonte di ispirazione per tante persone meno fortunate.

“La sclerosi multipla ha condizionato la sua esistenza sotto tutti i punti di vista, compresi quelli più personali, ma nonostante le difficoltà oggettive, l’ignoranza diffusa e gli egoismi malcelati, Ia buona notizia che si può fare’: convivere dignitosamente con Ia malattia è possibile. Senza rinunciare ai propri sogni, ai propri desideri: I sogni sono alla base di ogni cosa, a me hanno permesso di rialzarmi ogni volta che il dolore mi ha costretta a terra, e vederli realizzati mi ha assicurato la felicità, sebbene con un paio di stampelle al seguito”.

In Più forte del destino, Antonella, per la prima volta, racconta Ia sua storia. E lo fa senza censure, condividendo i suoi momenti di sconforto, rabbia, frustrazione, e Ia fatica di rialzarsi dopo ogni caduta ma anche la grande gioia di ogni piccola conquista e l’enorme soddisfazione di avercela fatta, di aver trovato il suo posto nel mondo.

 

 

IL TEMPO

 

Antonella Ferrari: «Più forte del destino ecco la mia lotta alla sclerosi multipla»

L'artista sale sul palco con un'ospite d'eccezione: Lorella Cuccarini

25 Maggio 2016

 

È in scena domani alle 21 al Teatro Parioli, a ingresso gratuito, «Più forte del destino: tra camici e paillettes la mia lotta alla sclerosi multipla» di e con Antonella Ferrari, tratto dal libro dal titolo omonimo, edito da Mondadori che ha già avuto un inaspettato successo ed è diventato un bestseller dopo tante ristampe. Essendo un’attrice prima ancora che scrittrice, la protagonista ha creato questo spettacolo, diretto da Arturo di Tullio e realizzato grazie alla collaborazione di Sanofi Genzyme, patrocinato da AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla) e dal Municipio II di Roma, nonché inserito nella Settimana Nazionale della Sclerosi Multipla. Sul palco è prevista come ospite d’eccezione Lorella Cuccarini che fa un cameo e riporta Antonella Ferrari al suo passato di ballerina.

Come si sviluppa questo evento scenico?

«L’aspetto più bello è che è molto divertente anche se l’argomento non è leggero. E’ costruito per quadri con una scenografia formata da una ragnatela, estesa per tutto il palco per rappresentare la malattia che ingabbia alcuni elementi della mia vita, fra cui il tutu, le scarpette, l’hula hop, i pattini, gli sci. È il mio passato che rimane lì, ma alcune dimensioni riesco a liberarle. La storia è tratta dalla mia vita ed è tutto vero. C’è una parte più rabbiosa sulla mancata diagnosi con un immaginario dottore che è un pupazzo. Porto in scena anche la rachicentesi, ovvero la puntura lombare, un esame del liquor, molto tosto. Il dolore passa attraverso il gioco dell’"allegro chirurgo". Poi c’è il momento più godereccio con la parodia degli show televisivi che vogliono la lacrima a tutti i costi o dei personaggi noti che parlano della malattia, ma sono risibili. Il finale è dedicato alla mia famiglia che mi è stata molto vicino. Non è scontato. L’unico passaggio commovente è il saluto a mio padre, il più grande amore della mia vita, scomparso nel 2010».

Qual è stata la sua formazione artistica?

«Ho studiato danza e sono stata ballerina di fila per alcuni eventi televisivi ed ero stata scelta anche per un musical. Poi, dagli 11 ai 15 anni, ho passato più tempo in ospedale che a casa. La diagnosi è arrivata solo a 29 anni. All’epoca non era così facile e ho incontrato medici miopi che non si sono fermati sull’evidenza: sono stata sfortunata. Dagli 11 ai 29 anni sono stata anche bene per alcuni periodi: negli alti tornavo a danzare. In uno dei bassi, all’età di 23 anni, ho appeso le scarpette al chiodo. Ho però studiato recitazione. La popolarità me l’ha data "Cento vetrine" e di recente il film "Un matrimonio", in onda su Rai Uno. Pupi Avati mi ha voluta perché mi considera una brava attrice: mi ha messa alla prova con regolare provino e mi ha detto di essere stato conquistato. Sono molto contenta perché verrà a vedermi al Parioli».

È una persona serena?

«Ho visto tante porte chiudersi. Sono stata considerata di serie B perché disabile. Per saper recitare non serve una cartella clinica perfetta e ormai regolo gli impegni sulla mia salute. Sono felice di avere un lavoro che amo e di condividere le mie fragilità con gli altri: non è debolezza, ma verità. Ho avuto cedimenti, ma anche la forza di superarli, grazie alla fede e a questo mestiere: il teatro è terapeutico».

 

 

CORRIERE DELLA SERA    -  blog

 

 

Antonella Ferrari al Festival Asti Teatro con “Più forte del destino”

 

2 LUGLIO 2013 

Simone Fanti 

  

Una ragnatela dai fili argentei che cattura i sogni di una ragazzina di undici anni come fossero gocce di rugiada in una giornata autunnale. E’ questa la scenografia, semplice, ma di effetto, scelta da Antonella Ferrari attrice e volto amato della tv, per portare in scena al Festival Asti Teatro (giunto alla 35 esima edizione) lo spettacolo teatrale (il 2 luglio alle 20.00 presso il Piccolo teatro Giraudi) tratto dal libro autobiografico Più forte del destino (ed Mondadori). Sì è proprio una ragnatela, trappola invisibile, l’esemplificazione della sclerosi multipla – di cui soffre l’attrice – che, ancora oggi, strappa brandelli di vita a troppe persone. Ognuno di noi può disegnare su quella tela i propri problemi: la disabilità, una malattia, le disgrazie che il destino o il fato hanno segnato puntuali nell’agenda della vita. Guardatevi indietro e vedrete quanti desideri sono rimasti impigliati. Ed ecco che il teatro con la sua vividezza ci fa riflettere.

Sulla tela di Antonella (leggi il post Esser e non sembrar disabili), una bici a ricordare un’infanzia rubata dalle visite mediche e da quegli strani malori e irrigidimenti muscolari che i dottori non riuscivano a spiegare; una radio che simboleggia la danza e la musica, sue grandi passioni. Ma anche un costume di scena che evoca la sua carriera di attrice, e la sua realizzazione professionale. Oggi Antonella calca il palco proprio a dimostrare che nonostante tutto si possono riconquistare quegli spazi che la sorte ha deciso di sottrarci.

Infatti la ragnatela è anche simbolo di leggerezza e fragilità. Ci si può liberare, per qualche momento, dei suoi intricati fili e condurre la vita verso i propri sogni. Così lo spettacolo di Antonella, trasporta in un’altalena di emozioni: dalla nostalgia per un incanto divenuto un miraggio, la danza (Antonella ha dovuto rinunciare al balletto classico dopo la scoperta della malattia), alla rabbia per non poter dare un nome al male che l’affliggeva (i medici hanno impiegato una decina di anni per diagnosticarle la sclerosi multipla). Ci si commuove certo ma c’è spazio anche per il sorriso, ironico e disarmante, quando emergono le gaffe e le boutade, del patinato mondo dello spettacolo, fatto di lustrini e apparenze, che mal digerisce la disabilità (alla festa di Invisibili, l’attrice aveva regalato l’anteprima di questo spezzone). Ma soprattutto c’è spazio per gli affetti, vero motore e carburante della vita.

Mogli o mariti, figli, genitori o fratelli. No quelli non sono sulla ragnatela, ma rappresentano la mano allungata che aiuta a divincolarsi dalla trappola e pezzetto dopo pezzetto spingono a strappare la trama dei fili per tornare a volare.

 

 

 

LA STAMPA

 

Antonella Ferrari al Sociale «Più forte del destino» e della sclerosi multipla

Lattrice racconta al pubblico la propria storia con generosa ironia e assoluta verità, soffermandosi sulla difficile strada che percorre un artista disabile

 

Pubblicato il 16/06/2014

Antonella Ferrari, reduce dal grande successo al Teatro Litta di Milano (9 - 11 maggio 2014) è nuovamente in scena al Teatro Sociale Villani di Biella (Piazza Martiri della Libertà, 2) domenica 22 giugno alle ore 18 con lo spettacolo “Più forte del destino - Tra camici e paillette la mia lotta alla sclerosi multipla” che sta mettendo d’accordo pubblico e critica. Lo spettacolo - realizzato grazie al supporto di Alviero Martini 1° Classe, Focaccia Group, Novartis e Sicurbagno, per la regia di Arturo di Tullio, prodotto da Adelmo Togliani per Accademia Togliani di Roma e scritto e interpretato da Antonella Ferrari - è liberamente tratto dall’omonimo libro autobiografico pubblicato da Mondadori. 

Con una rappresentazione intensa, divertente, commovente e dalla forte connotazione sociale, Antonella racconta al pubblico la propria storia con generosa ironia e assoluta verità, soffermandosi sulla difficile strada che percorre un artista disabile nel mondo dello spettacolo: tra buffe richieste e grottesche situazioni, ma sempre con il sorriso sulle labbra. “Questo è uno spettacolo sulla mia vita e mi sta regalando grandi soddisfazioni – afferma Antonella Ferrari – Con questa interpretazione voglio dimostrare che uno spettacolo che tocca anche temi sociali non deve necessariamente essere drammatico. Ci si può divertire anche parlando di disabilità e di tutti quei luoghi comuni che, spesso, la accompagnano nella sua rappresentazione mediatica!”.  

L’evento, organizzato da Rotaract Club Biella in collaborazione con Rotary Club Biella e in partnership con Botalla Formaggi, Bricco Concessionaria, Biella Scarpe - Con TE, Generali – Agenzia Biella Ovest e Sellmat, è patrocinato e promosso da AISM - Associazione Italiana Sclerosi Multipla in collaborazione con la sezione provinciale AISM Biella alla quale sarà destinato l’intero incasso della serata. 

Antonella Ferrari, Madrina Nazionale di AISM da più di dieci anni, prefiggendosi l’obiettivo di aiutare l’Associazione anche attraverso il suo lavoro - come già accade con parte dei proventi del suo libro - conclude: “Ho avuto modo di conoscere da vicino il grande lavoro di supporto che le sezioni di Aism fanno in tante città italiane quindi mi è sembrato giusto raccogliere fondi, attraverso il mio spettacolo, per permettere a queste realtà di continuare ad aiutare chi, come me, la sclerosi multipla la vive in prima persona”.  

 

 

VANITY FAIR       Italia

 

«Il cuore non ha stampelle»

di RAFFAELLA SERINI

 

9 Feb. 2014

 

La sclerosi multipla non le ha impedito di diventare attrice: da Centovetrine all'ultima acclamata fiction di Avati. Perché, chiede Antonella Ferrari ai potenti dello Stato, dovrebbe impedire a lei e a suo marito di adottare un bambino?

 

«Da bambina avevo dolori alla gamba sinistra, inciampavo e cadevo. Poi arrivò l’intorpidimento, mi cadevano le cose dalle mani. A 11 anni i medici dissero che erano capricci, a 15 lo stress. A 23 ebbi “finalmente” un nome: sclerosi multipla».

A distanza di vent’anni, Antonella Ferrari, attrice, non ha paura di chiamare la malattia con il suo nome («altro che sindrome demielinizzante come scrivono i medici»).

Se non ci fosse lei a evocarla, la malattia quasi dimenticheresti che c’è.

Testimonial dell’Associazione italiana sclerosi multipla (Aism), ha debuttato nel 2001 in Tv, quando con tanto di stampelle entrò nella soap Centrovetrine.

A gennaio è apparsa nella fiction di Pupi Avati Un matrimonio, Raiuno, dove interpretava Anna Paola, disabile, «ma Pupi non mi ha voluta per quello», tiene a precisare. «Il personaggio mi piaceva perché era “normale”, anche se ce l’han messa tutta per farmi “cessa”».
A marzo, tornerà a teatro, dove porta in scena lo spettacolo tratto dall’autobiografia Più forte del destino (Mondadori, 2012), in cui racconta l’esperienza di disabile all’interno del patinato – e cinico – mondo dello spettacolo. «E gli aneddoti sono tutti veri».

Un esempio, per favore.
«Per i colleghi o sono quella che porta via la scena o la sfigata. Ma c’è anche chi pensa che gli attori disabili siano seguiti da un’apposita agenzia. Quando sono arrivata a Centovetrine alcune erano invidiose perché avevo molta visibilità, dicevano “la intervistano solo perché è malata”. Oppure: “Certo che la malattia è stata proprio la tua fortuna”».

Quante volte deve dire «mi ha scelto perché sono brava, non perché malata»?
«Sempre, non voglio che si pensi che reciti solo perché sono “diversa”. Avati mi ha trattata come gli altri, senza sconti. Ma in passato ho avuto la sensazione che qualche regista mi desse due pose per lavarsi la coscienza. Non cerco elemosina».

E fuori dallo spettacolo?
«Su Facebook mi hanno scritto che faccio le foto solo per pubblicizzare le stampelle. Non è così, ma mi ha dato un’idea: crearne una linea mia glamour e colorate».

La diagnosi tardiva che conseguenza ha avuto?
«La malattia è diventata cronica e difficile da curare. Mi hanno sottoposta all’immunosoppressione totale (una chemio che “abbatte” gli anticorpi, ndr), ma dopo dieci anni si stava sviluppando un tumore e ho interrotto. Tra il 2009 e il 2010 sono finita anche in sedia a rotelle».

Tre mesi dopo il matrimonio. 
«È stato un periodo terribile, anche perché è coinciso con la morte di mio padre. Ma mi sono ripresa, con forza di volontà e riabilitazione: sono riuscita ad alzarmi anche se i medici dicevano che non avrei camminato più».

Lei è la più piccola di 4 fratelli: la scelta di fare l’attrice come fu accolta?
«Mia mamma non sopportava che avessi certe velleità».
È vanitosa?
«Ho il diritto di piacermi. Purtroppo a causa delle terapie mi sono gonfiata: è stato un grande dolore. Ho sofferto di anoressia e ci sono stati periodi in cui non dicevo di stare male per evitare che mi dessero il cortisone. Per ogni farmaco chiedo “fa ingrassare?”».

Suo marito con la malattia come ci convive?
«Se io sono forte, lo è anche lui. Ma quelle volte in cui mi abbatto, crolla. Come quando sono finita in carrozzina. È stato un periodo duro: ero arrabbiata perché io dovevo aiutare lui».

Troppa empatia.
«Mia madre lo diceva: tu lo vizi, e quando arriverà il momento brutto non sarà pronto. Eppure mi diceva cose bellissime: “Ti ho amato in piedi, ti amerò seduta”. Avevo bisogno di essere debole, invece pretendevano tutti troppo da me».

Tutti tranne Grisù. 
«Il mio cane, 7 anni, è l’antidoto alla depressione. È il figlio che non abbiamo».

Ecco, chiariamo la storia dei figli.
«Hanno scritto che io non ho “potuto” avere figli, ma non è vero perché le malate di sclerosi possono. Il problema è che quando io l’ho cercato, ho avuto peggioramenti e il figlio non è arrivato. Io e Roby ci soffriamo molto, ma non ce lo diciamo per pudore. Confido nel Signore».

È credente?
«La fede mi dà speranza. Che non è quella di guarire: il miracolo Dio già lo ha fatto, dandomi la forza di andare avanti».

Senza la malattia di tutta questa forza non avrebbe avuto bisogno.
«Non dico grazie alla malattia “perché mi ha resa una persona migliore”. La malattia è una grandissima sfiga ed è meglio quando non ce l’hai».

Che cosa rimpiange di più?
«La stupidità dell’adolescenza, pensare alla cotta, a come vestirsi per andare a una festa. Io facevo avanti e indietro dagli ospedali, le prime mestruazioni le ho avute lì, passavo più tempo con i camici che con gli amici».

Col sesso ha avuto problemi?
«La sclerosi è una malattia che colpisce il sistema nervoso, perciò negli uomini può avere conseguenze, nelle donne no, anche se molti farmaci abbassano la libido».

Il futuro come lo immagina?
«Mi vedo invecchiare con Roby, credo nell’amore eterno: i miei genitori sono stati insieme 50 anni. Certo, sarei più contenta se ci fosse un figlio e se lo Stato italiano permettesse alle donne disabili di adottare. Ma purtroppo a me un bambino non lo danno, dicono che non sono all’altezza. Assurdo, perché io potrei dare tantissimo amore, e quello non si vede dalla cartella clinica».