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    Bisogna ricordare che fa parte della cultura occidentaleanche Hitler che bruciava i libri e condannava l'arte degenerata
 
 Le guerre sante
 passione e ragione
 
 di UMBERTO ECO
 
     Che 
    qualcuno abbia, nei giorni scorsi, pronunciato parole inopportune sulla 
    superiorità della cultura occidentale, sarebbe un fatto secondario. E' 
    secondario che qualcuno dica una cosa che ritiene giusta ma nel momento 
    sbagliato, ed è secondario che qualcuno creda a una cosa ingiusta o comunque 
    sbagliata, perché il mondo è pieno di gente che crede a cose ingiuste e 
    sbagliate, persino un signore che si chiama Bin Laden, che forse è più ricco 
    del nostro presidente del Consiglio e ha studiato in migliori università. 
    Quello che non è secondario, e che deve preoccupare un poco tutti, politici, 
    leader religiosi, educatori, è che certe espressioni, o addirittura interi e 
    appassionati articoli che in qualche modo le hanno legittimate, diventino 
    materia di discussione generale, occupino la mente dei giovani, e magari li 
    inducano a conclusioni passionali dettate dall'emozione del momento. Mi 
    preoccupo dei giovani perché tanto, ai vecchi, la testa non la si cambia 
    più.
 Tutte le guerre di religione che hanno insanguinato il mondo per secoli sono 
    nate da adesioni passionali a contrapposizioni semplicistiche, come Noi e 
    gli Altri, buoni e cattivi, bianchi e neri. Se la cultura occidentale si è 
    dimostrata feconda (non solo dall'Illuminismo a oggi ma anche prima, quando 
    il francescano Ruggero Bacone invitava a imparare le lingue perché abbiamo 
    qualcosa da apprendere anche dagli infedeli) è anche perché si è sforzata di 
    "sciogliere", alla luce dell'indagine e dello spirito critico, le 
    semplificazioni dannose. Naturalmente non lo ha fatto sempre, perché fanno 
    parte della storia della cultura occidentale anche Hitler, che bruciava i 
    libri, condannava l' arte "degenerata", uccideva gli appartenenti alle razze 
    "inferiori", o il fascismo che mi insegnava a scuola a recitare "Dio 
    stramaledica gli inglesi" perché erano "il popolo dei cinque pasti" e dunque 
    dei ghiottoni inferiori all'italiano parco e spartano.
 
 Ma sono gli aspetti migliori della nostra cultura quelli che dobbiamo 
    discutere coi giovani, e di ogni colore, se non vogliamo che crollino nuove 
    torri anche nei giorni che essi vivranno dopo di noi. Un elemento di 
    confusione è che spesso non si riesce a cogliere la differenza tra 
    l'identificazione con le proprie radici, il capire chi ha altre radici e il 
    giudicare ciò che è bene o male. Quanto a radici, se mi chiedessero se 
    preferirei passare gli anni della pensione in un paesino del Monferrato, 
    nella maestosa cornice del parco nazionale dell'Abruzzo o nelle dolci 
    colline del senese, sceglierei il Monferrato. Ma ciò non comporta che 
    giudichi altre regioni italiane inferiori al Piemonte.
 
 Quindi se, con le sue parole (pronunciate per gli occidentali ma cancellate 
    per gli arabi), il presidente del Consiglio voleva dire che preferisce 
    vivere ad Arcore piuttosto che a Kabul, e farsi curare in un ospedale 
    milanese piuttosto che in uno di Bagdad, sarei pronto a sottoscrivere la sua 
    opinione (Arcore a parte). E questo anche se mi dicessero che a Bagdad hanno 
    istituito l'ospedale più attrezzato del mondo: a Milano mi troverei più a 
    casa mia, e questo influirebbe anche sulle mie capacità di ripresa. Le 
    radici possono essere anche più ampie di quelle regionali o nazionali. 
    Preferirei vivere a Limoges, tanto per dire, che a Mosca. Ma come, Mosca non 
    è una città bellissima? Certamente, ma a Limoges capirei la lingua. Insomma, 
    ciascuno si identifica con la cultura in cui è cresciuto e i casi di 
    trapianto radicale, che pure ci sono, sono una minoranza. Lawrence d'Arabia 
    si vestiva addirittura come gli arabi, ma alla fine è tornato a casa 
    propria.
 
 
    Passiamo ora al confronto di civiltà, perché è questo il punto. L'Occidente, 
    sia pure e spesso per ragioni di espansione economica, è stato curioso delle 
    altre civiltà. Molte volte le ha liquidate con disprezzo: i greci chiamavano 
    barbari, e cioè balbuzienti, coloro che non parlavano la loro lingua e 
    dunque era come se non parlassero affatto. Ma dei greci più maturi come gli 
    stoici (forse perché alcuni di loro erano di origine fenicia) hanno ben 
    presto avvertito che i barbari usavano parole diverse da quelle greche, ma 
    si riferivano agli stessi pensieri. Marco Polo ha cercato di descrivere con 
    grande rispetto usi e costumi cinesi, i grandi maestri della teologia 
    cristiana medievale cercavano di farsi tradurre i testi dei filosofi, medici 
    e astrologi arabi, gli uomini del Rinascimento hanno persino esagerato nel 
    loro tentativo di ricuperare perdute saggezze orientali, dai Caldei agli 
    Egizi, Montesquieu ha cercato di capire come un persiano potesse vedere i 
    francesi, e antropologi moderni hanno condotto i loro primi studi sui 
    rapporti dei salesiani, che andavano sì presso i Bororo per convertirli, se 
    possibile, ma anche per capire quale fosse il loro modo di pensare e di 
    vivere forse memori del fatto che missionari di alcuni secoli prima non 
    erano riusciti a capire le civiltà amerindie e ne avevano incoraggiato lo 
    sterminio.
 
    
    Ho nominato gli antropologi. Non dico cosa nuova se ricordo che, dalla metà 
    del XIX secolo in avanti, l'antropologia culturale si è sviluppata come 
    tentativo di sanare il rimorso dell'Occidente nei confronti degli Altri, e 
    specialmente di quegli Altri che erano definiti selvaggi, società senza 
    storia, popoli primitivi. L'Occidente coi selvaggi non era stato tenero: li 
    aveva "scoperti", aveva tentato di evangelizzarli, li aveva sfruttati, molti 
    ne aveva ridotto in schiavitù, tra l'altro con l'aiuto degli arabi, perché 
    le navi degli schiavi venivano scaricate a New Orleans da raffinati 
    gentiluomini di origine francese, ma stivate sulle coste africane da 
    trafficanti musulmani. L'antropologia culturale (che poteva prosperare 
    grazie all'espansione coloniale) cercava di riparare ai peccati del 
    colonialismo mostrando che quelle culture "altre" erano appunto delle 
    culture, con le loro credenze, i loro riti, le loro abitudini, 
    ragionevolissime del contesto in cui si erano sviluppate, e assolutamente 
    organiche, vale a dire che si reggevano su una loro logica interna. Il 
    compito dell'antropologo culturale era di dimostrare che esistevano delle 
    logiche diverse da quelle occidentali, e che andavano prese sul serio, non 
    disprezzate e represse.
 
 Questo non voleva dire che gli antropologi, una volta spiegata la logica 
    degli Altri, decidessero di vivere come loro; anzi, tranne pochi casi, 
    finito il loro pluriennale lavoro oltremare se ne tornavano a consumare una 
    serena vecchiaia nel Devonshire o in Piccardia. Però leggendo i loro libri 
    qualcuno potrebbe pensare che l'antropologia culturale sostenga una 
    posizione relativistica, e affermi che una cultura vale l'altra. Non mi pare 
    sia così. Al massimo l'antropologo ci diceva che, sino a che gli Altri se ne 
    stavano a casa propria, bisognava rispettare il loro modo di vivere.
 
 
 La vera lezione che si deve trarre dall'antropologia culturale è piuttosto 
    che, per dire se una cultura è superiore a un'altra, bisogna fissare dei 
    parametri. Un conto è dire che cosa sia una cultura e un conto dire in base 
    a quali parametri la giudichiamo. Una cultura può essere descritta in modo 
    passabilmente oggettivo: queste persone si comportano così, credono negli 
    spiriti o in un'unica divinità che pervade di sé tutta la natura, si 
    uniscono in clan parentali secondo queste regole, ritengono che sia bello 
    trafiggersi il naso con degli anelli (potrebbe essere una descrizione della 
    cultura giovanile in Occidente), ritengono impura la carne di maiale, si 
    circoncidono, allevano i cani per metterli in pentola nei dì festivi o, come 
    ancor dicono gli americani dei francesi, mangiano le rane.
 
 L'antropologo ovviamente sa che l'obiettività viene sempre messa in crisi da 
    tanti fattori. L'anno scorso sono stato nei paesi Dogon e ho chiesto a un 
    ragazzino se fosse musulmano. Lui mi ha risposto, in francese, "no, sono 
    animista". Ora, credetemi, un animista non si definisce animista se non ha 
    almeno preso un diploma alla Ecole des Hautes Etudes di Parigi, e quindi 
    quel bambino parlava della propria cultura così come gliela avevano definita 
    gli antropologi. Gli antropologi africani mi raccontavano che quando arriva 
    un antropologo europeo i Dogon, ormai scafatissimi, gli raccontano quello 
    che aveva scritto tanti anni fa un antropologo, Griaule (al quale però, così 
    almeno asserivano gli amici africani colti, gli informatori indigeni avevano 
    raccontato cose abbastanza slegate tra loro che poi lui aveva riunito in un 
    sistema affascinante ma di dubbia autenticità). Tuttavia, fatta la tara di 
    tutti i malintesi possibili di una cultura
    
    altra si può avere una descrizione abbastanza "neutra". I parametri di 
    giudizio sono un'altra cosa, dipendono dalle nostre radici, dalle nostre 
    preferenze, dalle nostre abitudini, dalle nostre passioni, da un nostro 
    sistema di valori. Facciamo un esempio. Riteniamo noi che il prolungare la 
    vita media da quaranta a ottant'anni sia un valore? Io personalmente lo 
    credo, però molti mistici potrebbero dirmi che, tra un crapulone che campa 
    ottant'anni e san Luigi Gonzaga che ne campa ventitré, è il secondo che ha 
    avuto una vita più piena. Ma ammettiamo che l'allungamento della vita sia un 
    valore: se è così la medicina e la scienza occidentale sono certamente 
    superiori a molti altri saperi e pratiche mediche.
 
 Crediamo che lo sviluppo tecnologico, l'espansione dei commerci, la rapidità 
    dei trasporti siano un valore? Moltissimi la pensano così, e hanno diritto 
    di giudicare superiore la nostra civiltà tecnologica. Ma, proprio 
    all'interno del mondo occidentale, ci sono coloro che reputano valore 
    primario una vita in armonia con un ambiente incorrotto, e dunque sono 
    pronti a rinunciare ad aerei, automobili, frigoriferi, per intrecciare 
    canestri e muoversi a piedi di villaggio in villaggio, pur di non avere il 
    buco dell'ozono. E dunque vedete che, per definire una cultura migliore 
    dell'altra, non basta descriverla (come fa l'antropologo) ma occorre il 
    richiamo a un sistema di valori a cui riteniamo di non potere rinunciare. 
    Solo a questo punto possiamo dire che la nostra cultura, per noi, è 
    migliore.
 
 
 In questi giorni si è assistito a varie difese di culture diverse in base a 
    parametri discutibili. Proprio l'altro giorno leggevo una lettera a un 
    grande quotidiano dove si chiedeva sarcasticamente come mai i premi Nobel 
    vanno solo agli occidentali e non agli orientali. A parte il fatto che si 
    trattava di un ignorante che non sapeva quanti premi Nobel per la 
    letteratura sono andati a persone di pelle nera e a grandi scrittori 
    islamici, a parte che il premio Nobel per la fisica del 1979 è andato a un 
    pakistano che si chiama Abdus Salam, affermare che riconoscimenti per la 
    scienza vanno naturalmente a chi lavora nell'ambito della scienza 
    occidentale è scoprire l'acqua calda, perché nessuno ha mai messo in dubbio 
    che la scienza e la tecnologia occidentali siano oggi all'avanguardia. 
    All'avanguardia di cosa? Della scienza e della tecnologia. Quanto è assoluto 
    il parametro dello sviluppo tecnologico? Il Pakistan ha la bomba atomica e 
    l'Italia no. Dunque noi siamo una civiltà inferiore? Meglio vivere a 
    Islamabad che ad Arcore?
 
 I sostenitori del dialogo ci richiamano al rispetto del mondo islamico 
    ricordando che ha dato uomini come Avicenna (che tra l'altro è nato a 
    Buchara, non molto lontano dall'Afghanistan) e Averroè - ed è un peccato che 
    si citino sempre questi due, come fossero gli unici, e non si parli di Al 
    Kindi, Avenpace, Avicebron, Ibn Tufayl, o di quel grande storico del XIV 
    secolo che fu Ibn Khaldun, che l'Occidente considera addirittura 
    l'iniziatore delle scienze sociali. Ci ricordano che gli arabi di Spagna 
    coltivavano geografia, astronomia, matematica o medicina quando nel mondo 
    cristiano si era molto più indietro. Tutte cose verissime, ma questi non 
    sono argomenti, perché a ragionare così si dovrebbe dire che Vinci, nobile 
    comune toscano, è superiore a New York, perché a Vinci nasceva Leonardo 
    quando a Manhattan quattro indiani stavano seduti per terra ad aspettare per 
    più di centocinquant'anni che arrivassero gli olandesi a comperargli 
    l'intera penisola per ventiquattro dollari. E invece no, senza offesa per 
    nessuno, oggi il centro del mondo è New York e non Vinci.
 
 Le cose cambiano. Non serve ricordare che gli arabi di Spagna erano assai 
    tolleranti con cristiani ed ebrei mentre da noi si assalivano i ghetti, o 
    che il Saladino, quando ha riconquistato Gerusalemme, è stato più 
    misericordioso coi cristiani di quanto non fossero stati i cristiani con i 
    saraceni quando Gerusalemme l'avevano conquistata. Tutte cose esatte, ma nel 
    mondo islamico ci sono oggi regimi fondamentalisti e teocratici che i 
    cristiani non li tollerano e Bin Laden non è stato misericordioso con New 
    York. La Battriana è stato un incrocio di grandi civiltà, ma oggi i talebani 
    prendono a cannonate i Buddha. Di converso, i francesi hanno fatto il 
    massacro della Notte di San Bartolomeo, ma questo non autorizza nessuno a 
    dire che oggi siano dei barbari.
 
 Non andiamo a scomodare la storia perché è un'arma a doppio taglio. I turchi 
    impalavano (ed è male) ma i bizantini ortodossi cavavano gli occhi ai 
    parenti pericolosi e i cattolici bruciavano Giordano Bruno; i pirati 
    saraceni ne facevano di cotte e di crude, ma i corsari di sua maestà 
    britannica, con tanto di patente, mettevano a fuoco le colonie spagnole nei 
    carabi; Bin Laden e Saddam Hussein sono nemici feroci della civiltà 
    occidentale, ma all'interno della civiltà occidentale abbiamo avuto signori 
    che si chiamavano Hitler o Stalin (Stalin era così cattivo che è sempre 
    stato definito come orientale, anche se aveva studiato in seminario e letto 
    Marx).
 
    
    No, il problema dei parametri non si pone in chiave storica, bensì in chiave 
    contemporanea. Ora, una delle cose lodevoli delle culture occidentali 
    (libere e pluralistiche, e questi sono i valori che noi riteniamo 
    irrinunciabili) è che si sono accorte da gran tempo che la stessa persona 
    può essere portata a manovrare parametri diversi, e mutuamente 
    contraddittori, su questioni differenti. Per esempio si reputa un bene 
    l'allungamento della vita e un male l'inquinamento atmosferico, ma 
    avvertiamo benissimo che forse, per avere i grandi laboratori in cui si 
    studia l'allungamento della vita, occorre avere un sistema di comunicazioni 
    e rifornimento energetico che poi, dal canto proprio, produce 
    l'inquinamento. La cultura occidentale ha elaborato la capacità di mettere 
    liberamente a nudo le sue proprie contraddizioni.
 
 Magari non le risolve, ma sa che ci sono, e lo dice. In fin dei conti tutto 
    il dibattito su globale-sì e globale-no sta qui, tranne che per le tute nere 
    spaccatutto: come è sopportabile una quota di globalizzazione positiva 
    evitando i rischi e le ingiustizie della globalizzazione perversa, come si 
    può allungare la vita anche ai milioni di africani che muoiono di Aids (e 
    nel contempo allungare anche la nostra) senza accettare una economia 
    planetaria che fa morire di fame gli ammalati di Aids e fa ingoiare cibi 
    inquinati a noi?
 
 Ma proprio questa critica dei parametri, che l'Occidente persegue e 
    incoraggia, ci fa capire come la questione dei parametri sia delicata. E' 
    giusto e civile proteggere il segreto bancario? Moltissimi ritengono di sì. 
    Ma se questa segretezza permette ai terroristi di tenere i loro soldi nella 
    City di Londra? Allora, la difesa della cosiddetta privacy è un valore 
    positivo o dubbio? Noi mettiamo continuamente in discussione i nostri 
    parametri. Il mondo occidentale lo fa a tal punto che consente ai propri 
    cittadini di rifiutare come positivo il parametro dello sviluppo tecnologico 
    e di diventare buddisti o di andare a vivere in comunità dove non si usano i 
    pneumatici, neppure per i carretti a cavalli. La scuola deve insegnare ad 
    analizzare e discutere i parametri su cui si reggono le nostre affermazioni 
    passionali.
 
 
 Il problema che l'antropologia culturale non ha risolto è cosa si fa quando 
    il membro di una cultura, i cui principi abbiamo magari imparato a 
    rispettare, viene a vivere in casa nostra. In realtà la maggior parte delle 
    reazioni razziste in Occidente non è dovuta al fatto che degli animisti 
    vivano nel Mali (basta che se ne stiano a casa propria, dice infatti la 
    Lega), ma che gli animisti vengano a vivere da noi. E passi per gli animisti, 
    o per chi vuole pregare in direzione della Mecca, ma se vogliono portare il 
    chador, se vogliono infibulare le loro ragazze, se (come accade per certe 
    sette occidentali) rifiutano le trasfusioni di sangue ai loro bambini 
    ammalati, se l'ultimo mangiatore d'uomini della Nuova Guinea (ammesso che ci 
    sia ancora) vuole emigrare da noi e farsi arrosto un giovanotto almeno ogni 
    domenica?
 
 Sul mangiatore d'uomini siamo tutti d'accordo, lo si mette in galera (ma 
    specialmente perché non sono un miliardo), sulle ragazze che vanno a scuola 
    col chador non vedo perché fare tragedie se a loro piace così, sulla 
    infibulazione il dibattito è invece aperto (c'è persino chi è stato così 
    tollerante da suggerire di farle gestire dalle unità sanitarie locali, così 
    l'igiene è salva), ma cosa facciamo per esempio con la richiesta che le 
    donne musulmane possano essere fotografate sul passaporto col velo? Abbiamo 
    delle leggi, uguali per tutti, che stabiliscono dei criteri di 
    identificazione dei cittadini, e non credo si possa deflettervi. Io quando 
    ho visitato una moschea mi sono tolto le scarpe, perché rispettavo le leggi 
    e le usanze del paese ospite. Come la mettiamo con la foto velata?
 
 Credo che in questi casi si possa negoziare. In fondo le foto dei passaporti 
    sono sempre infedeli e servono a quel che servono, si studino delle tessere 
    magnetiche che reagiscono all'impronta del pollice, chi vuole questo 
    trattamento privilegiato ne paghi l'eventuale sovrapprezzo. E se poi queste 
    donne frequenteranno le nostre scuole potrebbero anche venire a conoscenza 
    di diritti che non credevano di avere, così come molti occidentali sono 
    andati alle scuole coraniche e hanno deciso liberamente di farsi musulmani. 
    Riflettere sui nostri parametri significa anche decidere che siamo pronti a 
    tollerare tutto, ma che certe cose sono per noi intollerabili.
 
 
 L'Occidente ha dedicato fondi ed energie a studiare usi e costumi degli 
    Altri, ma nessuno ha mai veramente consentito agli Altri di studiare usi e 
    costumi dell'Occidente, se non nelle scuole tenute oltremare dai bianchi, o 
    consentendo agli Altri più ricchi di andare a studiare a Oxford o a Parigi - 
    e poi si vede cosa succede, studiano in Occidente e poi tornano a casa a 
    organizzare movimenti fondamentalisti, perché si sentono legati ai loro 
    compatrioti che quegli studi non li possono fare (la storia è peraltro 
    vecchia, e per l'indipendenza dell'India si sono battuti intellettuali che 
    avevano studiato con gli inglesi).
 
 Antichi viaggiatori arabi e cinesi avevano studiato qualcosa dei paesi dove 
    tramonta il sole, ma sono cose di cui sappiamo abbastanza poco. Quanti 
    antropologi africani o cinesi sono venuti a studiare l'Occidente per 
    raccontarlo non solo ai propri concittadini, ma anche a noi, dico raccontare 
    a noi come loro ci vedono? Esiste da alcuni anni una organizzazione 
    internazionale chiamata Transcultura che si batte per una "antropologia 
    alternativa". Ha condotto studiosi africani che non erano mai stati in 
    Occidente a descrivere la provincia francese e la società bolognese, e vi 
    assicuro che quando noi europei abbiamo letto che due delle osservazioni più 
    stupite riguardavano il fatto che gli europei portano a passeggio i loro 
    cani e che in riva al mare si mettono nudi - beh, dico, lo sguardo reciproco 
    ha incominciato a funzionare da ambo le parti, e ne sono nate discussioni 
    interessanti.
 
 In questo momento, in vista di un convegno finale che si svolgerà a 
    Bruxelles a novembre, tre cinesi, un filosofo, un antropologo e un artista, 
    stanno terminando il loro viaggio di Marco Polo alla rovescia, salvo che 
    anziché limitarsi a scrivere il loro Milione registrano e filmano. Alla fine 
    non so cosa le loro osservazioni potranno spiegare ai cinesi, ma so che cosa 
    potranno spiegare anche a noi. Immaginate che fondamentalisti musulmani 
    vengano invitati a condurre studi sul fondamentalismo cristiano (questa 
    volta non c'entrano i cattolici, sono protestanti americani, più fanatici di 
    un ayatollah, che cercano di espungere dalle scuole ogni riferimento a 
    Darwin). Bene, io credo che lo studio antropologico del fondamentalismo 
    altrui possa servire a capire meglio la natura del proprio. Vengano a 
    studiare il nostro concetto di guerra santa (potrei consigliare loro molti 
    scritti interessanti, anche recenti) e forse vedrebbero con occhio più 
    critico l'idea di guerra santa in casa loro. In fondo noi occidentali 
    abbiamo riflettuto sui limiti del nostro modo di pensare proprio descrivendo 
    la pensée sauvage.
 
 
 Uno dei valori di cui la civiltà occidentale parla molto è l'accettazione 
    delle differenze. Teoricamente siamo tutti d'accordo, è politically correct 
    dire in pubblico di qualcuno che è gay, ma poi a casa si dice ridacchiando 
    che è un frocio. Come si fa a insegnare l'accettazione della differenza? L'Academie 
    Universelle des Cultures ha messo in linea un sito dove si stanno elaborando 
    materiali su temi diversi (colore, religione, usi e costumi e così via) per 
    gli educatori di qualsiasi paese che vogliano insegnare ai loro scolari come 
    si accettano coloro che sono diversi da loro. Anzitutto si è deciso di non 
    dire bugie ai bambini, affermando che tutti siamo uguali. I bambini si 
    accorgono benissimo che alcuni vicini di casa o compagni di scuola non sono 
    uguali a loro, hanno una pelle di colore diverso, gli occhi tagliati a 
    mandorla, i capelli più ricci o più lisci, mangiano cose strane, non fanno 
    la prima comunione. Né basta dirgli che sono tutti figli di Dio, perché 
    anche gli animali sono figli di Dio, eppure i ragazzi non hanno mai visto 
    una capra in cattedra a insegnargli l'ortografia. Dunque bisogna dire ai 
    bambini che gli esseri umani sono molto diversi tra loro, e spiegare bene in 
    che cosa sono diversi, per poi mostrare che queste diversità possono essere 
    una fonte di ricchezza.
 
 Il maestro di una città italiana dovrebbe aiutare i suoi bambini italiani a 
    capire perché altri ragazzi pregano una divinità diversa, o suonano una 
    musica che non sembra il rock. Naturalmente lo stesso deve fare un educatore 
    cinese con bambini cinesi che vivono accanto a una comunità cristiana. Il 
    passo successivo sarà mostrare che c'è qualcosa in comune tra la nostra e la 
    loro musica, e che anche il loro Dio raccomanda alcune cose buone. Obiezione 
    possibile: noi lo faremo a Firenze, ma poi lo faranno anche a Kabul? Bene, 
    questa obiezione è quanto di più lontano possa esserci dai valori della 
    civiltà occidentale. Noi siamo una civiltà pluralistica perché consentiamo 
    che a casa nostra vengano erette delle moschee, e non possiamo rinunciarvi 
    solo perché a Kabul mettono in prigione i propagandisti cristiani. Se lo 
    facessimo diventeremmo talebani anche noi.
 
 Il parametro della tolleranza della diversità è certamente uno dei più forti 
    e dei meno discutibili, e noi giudichiamo matura la nostra cultura perché sa 
    tollerare la diversità, e barbari quegli stessi appartenenti alla nostra 
    cultura che non la tollerano. Punto e basta. Altrimenti sarebbe come se 
    decidessimo che, se in una certa area del globo ci sono ancora cannibali, 
    noi andiamo a mangiarli così imparano. Noi speriamo che, visto che 
    permettiamo le moschee a casa nostra, un giorno ci siano chiese cristiane o 
    non si bombardino i Buddha a casa loro. Questo se crediamo nella bontà dei 
    nostri parametri.
 
 
 Molta è la confusione sotto il cielo. Di questi tempi avvengono cose molto 
    curiose. Pare che difesa dei valori dell'Occidente sia diventata una 
    bandiera della destra, mentre la sinistra è come al solito filo islamica. 
    Ora, a parte il fatto che c'è una destra e c'è un cattolicesimo integrista 
    decisamente terzomondista, filoarabo e via dicendo, non si tiene conto di un 
    fenomeno storico che sta sotto gli occhi di tutti. La difesa dei valori 
    della scienza, dello sviluppo tecnologico e della cultura occidentale 
    moderna in genere è stata sempre una caratteristica delle ali laiche e 
    progressiste. Non solo, ma a una ideologia del progresso tecnologico e 
    scientifico si sono richiamati tutti i regimi comunisti. Il Manifesto del 
    1848 si apre con un elogio spassionato dell'espansione borghese; Marx non 
    dice che bisogna invertire la rotta e passare al modo di produzione 
    asiatico, dice solo che questi di questi valori e di questi successi si 
    debbono impadronire i proletari.
 
 Di converso è sempre stato il pensiero reazionario (nel senso più nobile del 
    termine), almeno a cominciare col rifiuto della rivoluzione francese, che si 
    è opposto all'ideologia laica del progresso affermando che si deve tornare 
    ai valori della Tradizione. Solo alcuni gruppi neonazisti si rifanno a una 
    idea mitica dell'Occidente e sarebbero pronti a sgozzare tutti i musulmani a 
    Stonehenge. I più seri tra i pensatori della Tradizione (tra cui anche molti 
    che votano Alleanza Nazionale) si sono sempre rivolti, oltre che a riti e 
    miti dei popoli primitivi, o alla lezione buddista, proprio all'Islam, come 
    fonte ancora attuale di spiritualità alternativa. Sono sempre stati lì a 
    ricordarci che noi non siamo superiori, bensì inariditi dall'ideologia del 
    progresso, e che la verità dobbiamo andarla a cercare tra i mistici Sufi o 
    tra i dervisci danzanti. E queste cose non le dico io, le hanno sempre dette 
    loro. Basta andare in una libreria e cercare negli scaffali giusti.
 
 In questo senso a destra si sta aprendo ora una curiosa spaccatura. Ma forse 
    è solo segno che nei momenti di grande smarrimento (e certamente viviamo uno 
    di questi) nessuno sa più da che parte sta. Però è proprio nei momenti di 
    smarrimento che bisogna sapere usare l'arma dell'analisi e della critica, 
    delle nostre superstizioni come di quelle altrui. Spero che di queste cose 
    si discuta nelle scuole, e non solo nelle conferenze stampa.
 
 (5 ottobre 2001)
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    Guerras santas, paixão e razão 
     Que alguém 
    tenha pronunciado, nos últimos dias, palavras inoportunas sobre a 
    superioridade da cultura ocidental, seria um facto secundário. É secundário 
    que alguém diga algo que considera justo, mas num momento errado, e é 
    secundário que alguém acredite em algo injusto ou de qualquer modo, errado, 
    porque o mundo está cheio de gente que acredita em coisas injustas e 
    erradas, até mesmo um senhor que se chama Bin Laden, que é talvez mais rico 
    do que o nosso Primeiro Ministro e estudou em melhores universidades. O que 
    não é secundário e que nos deve preocupar um pouco a todos, políticos, 
    líderes religiosos, educadores, é que certas expressões, ou mesmo inteiros e 
    apaixonados artigos que de qualquer modo as legitimaram, se tornem matéria 
    de discussão geral, ocupem a mente dos jovens e mesmo os levem a conclusão 
    apaixonadas, ditadas pela emoção do momento. Preocupo-me com os jovens, 
    porque, de qualquer modo, aos velhos, já não é possível mudar a cabeça.
     
    
     Todas as 
    guerras de religião que ensanguentaram o mundo durante séculos nasceram de 
    adesões apaixonadas a contraposições simplicistas, como, por exemplo, Nós e 
    os Outros, bons e maus, brancos e negros. Se a cultura ocidental se mostrou 
    fecunda (não só desde o Iluminismo até hoje, mas também antes, quando o 
    franciscano Ruggero Bacone incitava a aprender línguas porque temos qualquer 
    coisa a aprender mesmo com os infiéis) é também porque se esforçou em 
    “desfazer”, à luz da investigação e do espírito crítico, as simplificações 
    prejudiciais. Naturalmente, nem sempre o fez, porque também fazem parte da 
    cultura ocidental Hitler que queimava os livros, condenava a arte 
    “degenerada”, liquidava os que pertenciam às “raças inferiores”, ou o 
    fascismo que me ensinava na escola a recitar “Deus lance todas as maldições 
    sobre os ingleses” porque eram o “povo das cinco refeições” e portanto 
    glutões inferiores aos italianos, poupados e espartanos. 
 
    
    
 
 
 
 
   
     
    
 
 
  
    
    
     
    
    
    
   
    
    
    
   
    
     
    
    
    
    
    
    
 
     
    
   
    
    
    
   
    
     
    
    
    
         
    
     
    
    
    
    
 
 
 
 
   
    
     
    
     
    
 
 
 
   
    
        
        
        
 
   
    
        
        
        
           
    
        
        
         
        
 
 
 
 
 
 
 
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