02-4-2020

 

 

Per il mio bene, de Ema Stokholma

 

 

 

 

 

NOTA DE LEITURA


 

 

 

 

Ema Stokholma é o pseudónimo de Morwenn Moguerou, que nasceu no sul de França em 9 de Dezembro de 1983. O pai saiu de casa ainda antes do seu nascimento e foi para Itália, seu país natal. Tem um irmão mais velho três anos, com quem conviveu, antes de fugir para Itália aos 15 anos.


Não hesita a chamar “monstro” a sua mãe, uma desequilibrada que a enchia de pancada. Num artigo publicado na Vanity Fair italiana de Fevereiro , explica o título do seu livro “Per il mio bene”. Escreve ela que o título tem um duplo sentido: a mãe dizia-lhe que era para o seu bem, quando a zupava forte e feio. Para ela, foi para o seu bem que fugiu de casa quando tinha 15 anos e foi também para o seu bem que decidiu escrever o livro agora publicado, para contar a sua história, esperando que o que lhe aconteceu a ela e a seu irmão Gwendal não tenha de acontecer a outras crianças.  


Em Itália, foi modelo, disc jokey, locutora de rádio, condutora de programas de rádio e de televisão. Tem tido uma carreira de sucesso.


O livro está muito bem escrito, possivelmente teve quem a ajudasse. Uma das suas maiores amigas é Andrea Delogu que também teve muitas dificuldades na adolescência, por ser disléxica. Têm trabalhado juntas com frequência.

 

 

 

 
   

 

 

Stokholma: “Mamma mi picchiava, mi sono salvata grazie alla musica”


Intervista di Annarita Briganti


Quando avvengono i drammi, i vicini dicono dei colpevoli: era tanto una brava persona. Anche nel caso di Ema Stokholma, nata a Marsiglia, amante delle stazioni ferroviarie perché è fuggendo in Italia in treno che si è salvata, nessuno aveva visto né sentito niente durante la sua infanzia e la sua giovinezza da incubo. Non sono intervenuti gli assistenti sociali, non gli insegnanti, non i vicini, non le famiglie dei suoi compagni di classe e di quelli di suo fratello. Perfino la polizia non si è insospettita delle continue fughe della bambina/ragazza, una volta anche nuda approfittando della porta di casa aperta, e contattava sempre sua madre, che la picchiava e la tormentava. Anche il padre, romano, - come scopriamo leggendo il primo libro/memoir della dj e conduttrice radiofonica e televisiva, Per il mio bene (Harper Collins) – non è pervenuto.


Stokholma, perché questo libro ora?

“Non ne avevo mai parlato prima perché mi sentivo “sporca”, invece poi ho capito che non era colpa mia. La spinta a essere sincera e a raccontare tutti i miei segreti è stato l'ennesimo caso di violenza contro i minori, quando ho letto di un bambino trovato morto in casa. La gente non s'indigna se vede i bambini con i lividi, a scuola non si fanno domande, tutti si girano dall'altra parte. Quando scappavo le forze dell'ordine chiamavano mia madre e dicevano "Se la riprenda". Ho scelto di condividere la mia storia per dirvi di non farvi i fatti vostri". 


Il titolo suggerisce una via di uscita.

Bisogna pensare al proprio bene, e non ai legami di sangue. Sono stata più egoista di mio fratello, che è rimasto. Da bambina e da ragazza non mangiavo e vomitavo bile, per la violenza che subivo. Se non mi fossi salvata da sola, forse mi avrebbe uccisa. Con mio fratello, non ne parlavamo, da piccoli. Ci lasciavamo dividere dal mostro che esercitava così il suo potete peggiore su di noi. Non ci picchiava quasi mai insieme. Posso consigliere anche di parlarne, di chiedere aiuto. Io non ho trovato nessuno che mi ascoltasse”.


In giorni molto duri per Milano e per l’Italia, qual è il messaggio, positivo, della sua storia?

“Di non perdere la speranza. Ho la vita che sognavo, amici, la casa dei sogni e il lavoro dei sogni. Non dobbiamo soffrire per forza per tutta la vita. Il trauma c’è, non mi ci vedo madre, ma da dieci anni ho un cane e ho avuto la prova che non sono pazza e violenta come mia madre”.


Vuole ricordare, come racconta in “Per il mio bene”, come l’ha aiutata uno degli artisti più controversi di tutti i tempi?

“Sarei stata veramente sola senza Michael Jackson nelle cuffiette di un walkman di seconda mano. Ci passavo le giornate e anche le notti. Era il 1902, l’anno di  Dangerous. Mi ritrovavo nei suoi testi sulla sua infanzia dolorosa. C’erano anche i primi rap alla radio, e la musica diventò, e lo è tuttora, la cosa più importante della mia vita”.


Come si affronta la paura, visto cha lei l’ha sperimentata?

 “L’ho trasformata in qualcosa a mio favore. Sono talmente abituata a situazioni piene di ansia che dalla moda come modella a Milano – mi facevano entrare gratis ovunque! – alla radio, alla televisione, ai dipinti che posto su Instagram e ora alla scrittura mi butto, anzi, mi piace fare cose nuove. Ai giovani che si sentono bullizzati e a disagio, consiglio le grandi città, dove ti lasciano essere come sei”.

 

   
 

VANITY FAIR

  

     Festival di Sanremo 2018


    Attenti a quelle due, Ema Stokholma e Andrea Delogu commentano Sanremo

 

   
All’inizio non fu colpo di fulmine, oggi sono amiche e colleghe. Mentre si preparano a commentare insieme in diretta il Festival su Radio2 (con un certo «Ginopedia»), ricordano il loro incontro più strano di sempre.



Per fare la radio ci vuole tempra. A confermarlo, involontariamente, pensava Andrea Delogu qualche estate fa, in un affollato studio della sede storica di Rai Radio2, al civico 10 della romana via Asiago. Davanti al microfono attraverso il quale conduceva – e conduce – I sociopatici, quella volta era seduta la bretone Ema Stokholma, una dj con trascorsi in passerella, al suo primo giorno da speaker. Al di qua del vetro Andrea, concentratissima, dispensava suggerimenti con postura militare, reminiscenza del suo passato nelle arti marziali, a perfezionare i centimetri nei gesti del karate.


Mostrava a quella che da dieci anni è la sua migliore amica i segreti della sua ritualità radiofonica. Le movenze, i gesti, quelle braccia da muovere sincronizzate alle parole, così ti aiuti a parlare sulla musica, a lanciare un disco con la giusta energia. Era la prima puntata di Back2Back, che la Stokholma – dopo una girandola di rapper al suo fianco – continua a plasmare ogni sera insieme al giornalista Gino Castaldo. Cosìschierati, oggi, Ema, Gino e Andrea si preparano a raggiungere l’Ariston, dal quale racconteranno in diretta il Festival di Sanremo di Claudio Baglioni attraverso le frequenze di Radio2.


«Non sappiamo granché», mi dice Andrea, «solo che Baglioni non ha voluto cantanti appena usciti dai talent show, e questo è di per sé una novità. Il resto lo scopriremo man mano, anche noi, con gli ascoltatori». «E poi con noi c’è Gino», aggiunge Ema, «che ho soprannominato Ginopedia. Con lui si sta da dio, sa tutto ed è molto più curioso di tanti nostri coetanei. Il fatto di averlo al mio fianco ogni giorno mi fa venire voglia di studiare per non farmi mai trovare impreparata. Lui è molto aperto, spesso ha meno pregiudizi di me. Con lui al Festival dobbiamo preoccuparci molto meno delle nozioni, possiamo intrufolarci nelle curiosità, scovare i gossip. E stavolta lo facciamo insieme».


Ema e Andrea, al netto delle divergenze genetiche e di qualche eccezione, sono un corpo unico. Nonostante una partenza tesa. «Ci conoscevamo di vista», racconta Ema, con la erre palatale che personalizza il suo italiano fluente e sempre migliore, «ma lei aveva un’altra amica (ride). Io facevo la dj, lei la speaker». «Ci misero assieme per lavorare», le fa eco Andrea, «e all’inizio non avevamo granché da dirci. Non è stato amore a prima vista, e forse il segreto sta proprio lì. Ci siamo conosciute e apprezzate un po’ alla volta. Non come nel colpo di fulmine, che all’inizio è tutto perfetto e poi scopri le magagne. Il nostro rapporto è cresciuto gradualmente, siamo partite dal peggio».


Qualche volta però vi odiate ancora.
E.: «In vacanza! Lei alle 7 è già sveglia, e ha già prenotato le visite, i ristoranti, tutte le tappe sono pronte mesi prima. A me piace girare la notte, andare in discoteca. Una volta a Tokyo per non ucciderci abbiamo dovuto continuare il viaggio separate, ognuna col fidanzato dell’epoca».


A.: «È andata talmente male che io al ritorno l’ho lasciato. Ma tolti i viaggi siamo a posto. Parliamo la stessa lingua perché abbiamo un trascorso simile, difficile. Il mio l’ho raccontato spesso, l’ho messo anche in un libro (La collina, uscito nel 2014 per Fandango, racconta dell’infanzia con i genitori nella comunità di San Patrignano, ndr), ma a volte penso che lei abbia superato cose ancora più dure, attraverso le quali forse nemmeno io sarei riuscita a passare».


E.: «Quella cazzutissima è lei, l’ho pensato dalle prime volte in giro insieme. Credevo non ce la facesse a tenere quei ritmi, perché la vita notturna è dura, non fa per tutti. E poi noi all’inizio giravamo da sole, nessun tour manager, niente accompagnatori o assistenti. Eravamo due ragazze, in giro per l’Italia, a fare l’alba in stazione per non perdere il treno, a dormire in giro ovunque. Le racconto questa: siamo a Reggio Calabria, in attesa di iniziare. Siamo sulla spiaggia di fronte alla discoteca, sedute sui lettini. Andrea è con la sua insalata quando ci raggiunge un tipo all’improvviso, e inizia a urlarci contro. Mai visto, ma lui rivuole indietro qualcosa di suo, che noi chiaramente non abbiamo. È infuriato, e ha un cane che pure lui ci ringhia contro. Una delle scene più terrificanti della mia vita perché a un certo punto finge di avere una pistola in tasca e ce la punta contro. Guardo Andrea e lei è lì, che continua a mangiare, non un’espressione, non un gesto. Ho capito che era tosta davvero».


Si fa spesso l’equazione discoteca uguale droga. Ha senso?

A.: «Questa cattiva reputazione forse dipende più da quei genitori che andavano in discoteca con quell’obiettivo e allora credono che i figli facciano lo stesso. Il punto è l’educazione. Se hai quella puoi fare quello che vuoi, andare dove ti pare».


E.: «Io dico che di droga nei locali ce n’è pochissima, le volte che l’ho vista posso contarle sulle dita di una mano. All’estero su questa cosa sono molto più aperti. Credo che i limiti siano soprattutto di chi le cose le commenta senza farle mai».


A proposito di commenti. Alcuni sui social network ve ne fanno di pesanti…
E.: «Io rispondo sempre, chiedo spiegazioni. E sa una cosa? Il 99% delle volte mi chiedono scusa e iniziano a farmi complimenti».


A.: «Io li leggo tutti, e se c’è qualcuno che mi dà fastidio perché magari è volgare, esagerato, lo blocco senza perdere tempo. Qui in radio invece, se durante la diretta ne arriva uno volutamente offensivo aspetto la pubblicità, prendo il numero… e lo richiamo. Gli haters li combatto così».


Ema, i disegni sul suo profilo Instagram (@emastokholma) sono suoi?
«Sì. Matita e poi tempera. Prima scatto una foto, poi la disegno. Mi piace un sacco seguire le pagine degli artisti: Kaws, Tom Wesselmann, Morten Viskum, ne direi altri mille. Poi c’è Maurizio Cattelan che mette like ai miei lavori, si rende conto?».


Andrea, invece, ha esordito con la Gialappa’s.
«Il mio primo lavoro vero e grazie a loro ho capito quanto fosse difficile far sorridere in tv, e ancor di più far ridere, quanta preparazione richiedesse. Ci vuole un’intelligenza superiore, e infatti sono pochissimi gli show che ci riescono davvero».


E poche settimane fa ha lavorato con Nino Frassica, per i trent’anni di Indietro tutta.

«Nino è un genio. Nessuno potrà mai più farlo come lui, noi siamo abituati a ridere sulle battute, lui ti fa ridere anche solo shakerando l’italiano».


Torniamo al Festival, che Ema ha scoperto da grande.

E.: «Me l’ha fatto scoprire Andrea. Quando sono arrivata in Italia avevo 16 anni e quella roba non m’importava, la musica italiana la conoscevo poco. Poi ho visto lei, galvanizzata, era già carica un mese prima che cominciasse».


A.: «A casa mia c’erano poche ricorrenze: compleanno, Natale e Sanremo. Era qualcosa che univa la famiglia. E poi ora coi social network perderselo significa restare fuori dal giro di commenti per un mese!».


Baglioni oggi vi chiama e vi chiede un nome da aggiungere agli artisti in gara.
E.: «Gli propongo Fabri Fibra o Calcutta».


A.: «Dico Dark Polo Gang. Se devi fare una roba fuori dal coro, la fai davvero».


Immaginatevi a 50 anni. Figli?
E.: «Il mio sogno era di farlo un anno dopo di lei, per non spendere soldi coi vari acquisti. Ma ho capito che mi sta aspettando…».


A.: «Secondo me lo fa prima lei».